“Savignone, la perla dei monti”, così veniva definita Savignone nelle pagine pubblicitarie di Liguria Illustrata della seconda metà dell’Ottocento e “Città giardino dalle villette elegantissime”, nell’edizione del 1927 della Guida Turistica Landolina, ove non si mancava di precisare l’eminente posizione incantevole e l’imponente presenza di villeggianti d’élite durante la stagione estiva. E ancora oggi, Savignone non ha perso la sua fisionomia di capitale turistica della valle, grazie alla sua posizione geografica di privilegio rispetto ad altri paesi di vallata.
Il borgo fu costruito sulla gigantesca frana staccatasi in epoche remote dal Monte Pianetto, che spianò il territorio su cui sorse il primissimo nucleo del paese. Attualmente il territorio del Comune si divide in nove frazioni: Savignone Capoluogo, Gabbie, San Bartolomeo, Isorelle, Canalbolzone, Ponte, Montemaggio, Sorrivi e Vaccarezza. Ciascuna frazione è poi suddivisa in nuclei abitati (divisi poi toponomasticamente in vie che non si elencano però in questa sede). I nuclei sono i seguenti: Frazione Capoluogo (Centro Storico – Prato – Strada Nuova – Castellorosso – Campogrande – Inastrà – Aschiera e Sementella), Frazione Gabbie (Uccelliera – Gabbie Inferiori e Gabbie Superiori – Bosco – Sotta – Sambuco – Chioso – Costalovaia – Ronchetto e Sottonocetta), Frazione San Bartolomeo (Centro – Prelo – Cerisola – Cereta – Vallecalda – Vittoria – Besolagno – Gualdrà), Frazione Isorelle (Centro – Alberghino – Montagnino – Birra), Frazione Canalbolzone (Centro Storico – Rettilineo Produttivo – Lungo Torrente Scrivia), Frazione Ponte ( Ponte Savignone – Ponte SB – Ramà – Zumé), Frazione Montemaggio (Centro – Renesso – Iesi – Nastrà – Costa – Colonia), Frazione Sorrivi (Centro – Pochettini – Autra – Olmi – Moglia), Frazione Vaccarezza (Centro, Casoni, Granega, Vagge).
Le origini del paese sono quindi particolarmente antiche, com’è testimoniato dal ritrovamento di materiale ceramico presso la frazione di Renesso, databile all’età del Bronzo Medio (XIV secolo a.C.) e da due tombe del IV secolo a.C., in località Camiaschetta, che presentano segni evidenti delle civiltà basso-ticinese di Golasecca e celtica di La Tène. A due passi dalla piazza del Capoluogo sono state rinvenute tracce di costruzioni in legno rettangolari, che appoggiavano su fondazioni in pietra, con tetti ricoperti di paglia appartenenti quasi sicuramente ad un villaggio ligure-romano (certezza confermata da ritrovamenti di monete romane e di tombe di legionari dell’Urbe). Sempre nella medesima località, che reca tutt’oggi il toponimo di “Refundòu” ovvero “Rifondato”, sono stati notati, durante alcuni scavi edilizi degli anni ’70 (aperti e poi chiusi immediatamente), alcuni elementi che hanno lasciato intendere l’insediamento in loco di alcune tribù nomadi di barbari Vandali durante il loro cammino verso il saccheggio di Roma.
Il periodo della decadenza dell’Impero Romano si saldò a Savignone col regno di Liutprando, che nel 725, secondo la tradizione, passò per il paese al seguito delle spoglie mortali di Sant’Agostino, provenienti dalla Sardegna, per essere trasferite poi a Pavia. Il corteo funebre, transitato da San Pier d’Arena, oggi comunemente detta Sampierdarena, diretto verso la Val Polcevera, salito al colle della Vittoria e disceso a San Bartolomeo di Vallecalda, fece sosta a Savignone nella primitiva chiesa, sorta sul vicus romano dopo la diffusione del Cristianesimo. Si racconta che, al momento di riprendere il cammino, le reliquie non si poterono smuovere. Fu allora che re Liutprando promise un terreno su cui erigere un monastero alle dipendenze di San Pietro in Ciel D’Oro di Pavia. Il corteo poté così riprendere il viaggio verso la pianura. E a Savignone, nel luogo che la tradizione locale definisce col toponimo “San Salvatore”, sorse una cella monastica, successivamente dedicata al Santo protettore della famiglia Fieschi, mentre il cenobio e la piccola chiesa locale, sita nella zona prospiciente a quella attuale, venne consacrata a San Pietro a memoria del miracolo avvenuto ( le spoglie di Sant’Agostino furono infatti trasferite nella Chiesa San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, capitale del Regno Longobardo). E se pur in questo caso, la realtà storica si maschera alla leggenda, alla donazione di Liutprando fanno riferimento alcuni annali, anteriori all’anno Mille e ad essi aggiunge poi credibilità la scoperta delle fondazioni del convento benedettino ed una bolla pontificale. Tra i fatti descritti e la costruzione del castello nel 1207 corre certo un periodo buio, ma a Savignone, l’età barbarica e l’età feudale si andranno a ricongiungere proprio in quei ruderi austeri del Castello, ben visibili oggi sullo sperone di roccia che sovrasta il paese.
Nel X e XI secolo, il territorio venne ad integrarsi nella giurisdizione di ricche e potenti famiglie, a cui subentrarono negli anni i vescovi di Lodi e di Tortona, poi conferiti di autorità temporale da Ottone I. Al contempo, al potere temporale esercitato dalla Chiesa tortonese, sul territorio si affiancò anche quello dei Marchesi di Gavi, che a loro volta infeudarono i Signori di Savignone. Il gioco dinastico ed altre vicende politiche determinarono, entro le prime decadi del XIII secolo, lo sfaldamento di queste dominazioni, delle quali era già precaria l’intera struttura territoriale. E verso la metà del XIII secolo, i Fieschi, Conti di Lavagna e potentissima famiglia della Repubblica Genovese, acquisirono Savignone, o parte di esso, da un consortile di signori locali, in un periodo particolarmente favorevole alla famiglia, poiché godeva dell’appoggio di papa Innocenzo IV e del cardinale Ottobono. Non si conosce esattamente la data dell’acquisto ma si può ritenere che fosse antecedente al 1252. Per lungo tempo, i Fieschi esercitarono pieno potere sul territorio, bandendovi leggi e statuti a seconda delle circostanze e dei tempi e godendo di un’autonomia politica totale. Infatti, la Signoria di Savignone, che di diritto dipendeva dall’Impero, fu di fatto governata dalla famiglia Fieschi, per oltre cinque secoli, con poteri praticamente illimitati, rimanendo per quanto più possibile indipendente dalle potenze confinanti. Gli stessi Imperatori intervennero raramente e solo in circostanze che potevano rappresentare dei vantaggi per casi di politica generale. Il primo dicembre 1495 l’imperatore Massimiliano I concesse a Gian Luigi Fieschi il Vecchio l’investitura sul Feudo, rinnovata poi, nel 1548, dall’imperatore Carlo V a Ettore Fieschi Seniore.
Pervenute quasi tutte le porzioni del Feudo di Savignone nella discendenza di Ettore Fieschi Seniore, si giunse alla divisione della giurisdizione tra i suoi due pronipoti Innocenzo e Girolamo Fieschi, in data 16 aprile 1678. I due fratelli, consignori contemporaneamente del Feudo di Savignone e di Croce Parissone, nonché compartecipi di Mongiardino, decisero di dividere le tre giurisdizioni “solamente per troncare le discordie che la possessione in comune faceva nascere”. L’atto fu rogato nel Palazzo di Savignone dal notaio Pier Giuseppe Tagliavacca e sancì l’assegnazione al conte Innocenzo Fieschi del Feudo della Croce e delle sue appartenenze, a Girolamo Fieschi del borgo e del Castello di Savignone, con le ville già appartenenti al feudo, mentre il feudo di Mongiardino toccò in dote alla contessa Tomasina Spinola, loro madre. In seguito, il Conte Girolamo Fieschi comprò nel 1685 alcune porzioni feudali chiamate Frassinello, Chiappe e Senarega. Con questo acquisto il Feudo di Savignone assunse la configurazione territoriale, che mantenne per tutto il XVIII secolo, estendendosi sul territorio di 12 parrocchie. Proclamata, nel 1797, l’abolizione dei feudi imperiali, Savignone fu aggregata al nuovo distretto dei Monti Liguri Occidentali ed Orientali. Il possesso dei beni patrimoniali e del Castello rimase però ai Fieschi, nella discendenza di Agostino Innocenzo. Il 27 luglio 1827, quando morì, il Conte Padre lasciò quale unica erede, Carlotta Fieschi, che andò in sposa al plenipotenziario Nicolò Crosa di Vergagni. La famiglia Crosa di Vergagni escluse per sempre il nome dei Fieschi dai possedimenti di Savignone, diventando unica proprietaria dei beni posseduti, da tempo illimitato, dagli antichi feudatari.